Benessere e territori - Abstract Bellelli


Ci troviamo quindi a constatare una sostanziale trasformazione della domanda sociale, sia in termini quantitativi, ma soprattutto in termini qualitativi. Disoccupazione, nuove povertà, morosità involontaria sono concetti relativamente nuovi per la nostra società locale, abituata a fissare nella redistribuzione della ricchezza (ovviamente non solo monetaria) l’obiettivo delle politiche di welfare, scolastiche e più in generale dei servizi. Un ruolo questo che ha avuto come protagonisti i comuni e le regioni, ma che ora è fortemente ridimensionato dai continui tagli ai conti pubblici. Questo arretramento è decisamente più evidente nei nostri territori e nelle nostre comunità che si sono, nel corso degli anni, identificate, dal punto di vista della qualità della vita, in quei servizi alla persona, in quell’idea di società.
La perdita di ricchezza relativa e di sicurezza sociale si mescolano ad altri fenomeni quali l’immigrazione e l’invecchiamento della popolazione generando un fenomeno di disgregazione sociale e di perdita di amore civico.
E’un fenomeno identitario che minaccia il cuore del nostro patrimonio sociale, da cui nasce il volontariato, l’associazionismo e la cooperazione.
Ecco, prima ancora di parlare di soluzioni e scenari futuri è necessario che questa analisi sia condivisa, capita e discussa. Le implicazioni sono molteplici e l’impressione di essere di fronte ad uno schema che ci autoriproduce è alta. Mi limito a fare alcune riflessioni.
E’evidente che l’aumento di complessità della domanda sociale, a fronte di un calo di risorse, imponga al primo settore (la politica insomma) di ragionare in termini di un cambiamento della propria offerta. Oggi mancano strumenti strutturali per far fronte alle esigenze della cosiddetta fascia grigia figlia di questa crisi, ma non va dimenticato l’effetto moltiplicatore che la crisi stessa ha su soggetti e su famiglie che contano problemi pregressi (malattia, fragilità, non autosufficienza…). Si tratta di compiere una riflessione importante, di stabilire priorità, di ritarare gli strumenti presenti e di crearne di nuovi. Fare tutto ciò in ottica ridistribuiva significa anche mettere in discussione la categorie stesse su cui oggi si concentra l’intervento sociale, di chiedere a chi può di compartecipare.
E’una discussione difficile, complessa ma non più rimandabile. In questa discussione il Terzo settore ha secondo me un ruolo fondamentale per diversi motivi:

1)Ridisegnare il nostro stato sociale senza condividere idee e progetti con chi è soggetto promotore sarebbe un errore macroscopico da parte di chi amministra; non verrebbe solo a mancare un punto di vista fondamentale e ricco di informazioni in fase di progettazione, ma anche la condivisione di chi si troverà ad essere interprete di quel cambiamento.

2)E’impensabile che “Il pubblico” arretri rispetto ad un intervento sociale lasciando semplicemente il privato. Si tratterebbe di sostituzione e non di sussidiarietà.

3)Il Terzo Settore, inteso nella sua profondità, dalla cooperazione sociale al volontariato, è il livello più alto di definizione della rete sociale perché mette al centro del rapporto non solo il servizio, come fa l’apparato pubblico burocratico, ma la relazione, o il bene relazionale come viene chiamato in sociologia. E’questo il meccanismo più importante e connotativo che può contrastare con precisione chirurgica il processo di disgregazione sociale, sostituendolo con la coesione e favorendo processi di riproduzione del volontariato e del senso di comunità.

4)La condivisione di priorità, la ricerca di un ruolo nella rete implica una responsabilità da parte di tutti i soggetti del terzo settore. Non è infatti sostenibile che, ad un generale calo del volontariato si assista ad una moltiplicazione dei soggetti associativi, che spesso hanno mission comuni e tendono a farsi concorrenza. E’necessario che parta uno spirito solidaristico e di rete, dove l’obiettivo sia al centro di un modus operandi sempre più collettivo.

A mio parere gli elementi per svolgere la discussione sono questi. Le occasioni e gli strumenti sono quelli del piano per la salute ed il benessere ed i percorsi partecipativi per la compilazione dei piani sociali di zona. Su questo si potrebbe approfondire (così come ha fatto nei giorni scorsi il comitato paritetico del volontariato in tutti i distretti) la questione della rappresentanza. Mi limito ad annotare che, rispetto ad una potenzialità importante dei percorsi partecipativi dei piani sociali, potenzialità che forse non è ancora stata pienamente espressa, vi sono alcune macro-decisioni regionali che tendono a calcificare quote sempre più importanti dei fondi destinati: insomma ci sono gli strumenti ma ci sono sempre meno spazi a livello economico.

Vorrei infine citare 2 progetti di successo che hanno premiato il rapporto programmazione sociale-Terzo Settore:

1)Ero Straniero: nato associazioni estremamente diverse (Udi,Masci,Azione Cattolica) coadiuvate dalla Coop sociale “Il Mantello” ha permesso di offrire un percorso di socializzazione-primissima alfabetizzazione a più di 200 cittadini stranieri in un anno. I corsi, che prevedevano anche un supporto di baby sitter per favorire la partecipazione femminile, sono stati realizzati con lo sforzo di oltre 30 insegnanti volontari e hanno costituito il primo segmento della filiera di alfabetizzazione, a cui seguono i percorsi per l’ottenimento del livello A2.

2)Anziani in rete: da una ricerca sulle necessità degli anziani fatta dal Comune di Carpi nel 2003, sono nati 3 gruppi di prossimità sociale (Faro, Ancora e Ponte) i quali hanno sviluppato servizi di trasporto e compagnia. Il progetto è finanziato da una quota parte delle tessera Ancescao e dai 7 centri sociali anziani presenti in città. Con l’aiuto della Coop Sofia le 3 organizzazioni hanno uniformato le loro organizzazioni mettendo in comune mezzi, volontari e riferimenti. Oggi hanno aperto il loro servizio a diverse associazioni cittadine (Alice, Usah, Parkinson, Alzheimer) e fanno progetti di formazione per i volontari.